Nato nel 1918 a Loro Ciuffenna, un piccolo borgo a nord di Arezzo, Venturino fin da bambino ha avuto l’indispensabile esigenza di creare, passando ore ad osservare il padre scalpellino e seguendolo nei cantieri, dove ha iniziato a lavorare con la pietra.

Il padre, antifascista, fu costretto a emigrare per le sue convinzioni politiche, portando con sé la famiglia, prima in Francia e poi in Lussemburgo, qui, Venturino e le sue sorelle hanno imparato l’italiano sui testi della Divina Commedia e Le Avventure di Pinocchio.

All’estero ha iniziato la sua formazione artistica, che ha poi deciso di proseguire in Italia, all’Accademia di Belle Arti di Firenze, affascinato dai mitici nomi che hanno reso celebre questa città.

La Firenze di quegli anni è sede di una intensa attività intellettuale e Venturino frequenta il caffè delle Giubbe Rosse, dove conosce diversi personaggi già molto noti al tempo, come Ottone Rosai (Top 5 HL), Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale ecc.

Per Venturi le amicizie e l’arte, hanno avuto sempre una profonda importanza, convinto che anche le opere, avessero una propria spiritualità.

 Per esempio per lui il ritratto aveva un significato del tutto unico, pensava fosse un mezzo per potersi avvicinare all’intimo del soggetto fino a sfiorarne l’anima, ma senza violarla.

Solo in poche occasioni si separava dalle sue opere, creando una sorta di legame inscindibile, con un attaccamento tale da presentare le persone che aveva raffigurato ai suoi ospiti, quasi come presenze reali nello studio:

“quello è Pratolini…quello è Rosai vedi com’era nervoso…”

Il 1940 coincide con l’inizio dei suoi problemi e la chiamata alle armi sul fronte greco-albanese, dove per la sua abilità artistica, viene impiegato come disegnatore delle linee nemiche.

Venturino alloggia con altri tre commilitoni all’interno di una baracca, dove in un inverno molto nevoso, di lì a poco la postazione viene centrata in pieno da un obice.

Lui è l’unico superstite di un attacco al quale i soccorritori pensavano non fosse sopravvissuto nessuno e passa una notte immerso nella neve, su una montagna, con la gamba destra quasi perduta, solo, in mezzo ai miseri resti sparsi dei compagni con i quali solo poche ore prima, stava dividendo alcune sigarette.

Soccorso il mattino seguente, Venturi è stato ricoverato per ben quattro anni all’ospedale di Careggi, subendo ventiquattro operazioni per riuscire a ricostruire la gamba.  

La guerra e questa lunghissima degenza lo hanno segnato per sempre, spingendolo a mature riflessioni sulla morte e la rinascita.

La fine del conflitto mondiale, nel 1945, coincide finalmente con un periodo positivo e di successo, con la sua prima mostra personale a Firenze e un susseguirsi di esposizioni.

La serenità dura poco e la vita di Venturino viene sconvolta nuovamente nel 1952, con un forte turbamento psichico.

Vince ex-aequo con Emilio Greco, il concorso internazionale per il Monumento di Pinocchio a Collodi, ma è una vittoria a metà, da condividere.

Il compito che gli spetta è enorme e lavora senza sosta alla sistemazione del parco, per due anni, creando un mosaico immenso (900 metri), ma non realizzando la scultura raffigurante Pinocchio, che lascia a Greco (che in realtà realizzerà solo una fatina all’ingresso del parco).

La rabbia, la delusione e la fatica di questo episodio, producono in lui un profonda depressione, tale da richiedere il ricovero al manicomio di San Salvi per due anni, dal 1957 al 1959.

Gli anni trascorsi nell’ospedale psichiatrico fiorentino sono molto fruttuosi per Venturi, che disegna, scolpisce e dipinge. Pinocchio è rimasto nella sua mente, come il soggetto preferito: disegnato su grandi fogli che stendeva a terra e dipingeva direttamente sul pavimento, tanto che i fogli portano sul retro ancora i segni delle mattonelle.

Anni dopo sono stati trovati una quarantina di questi grandi disegni, dai contorni e colori violenti, realizzati a carbone, olio, pastello. Il colore che utilizza con maggior intensità è il rosso vivo, un colore che allude alla rinascita e alla collera.

Venturi non amava parlare della malattia:

“Si, sono stato male un tre anni…però in quel periodo lì ho prodotto molto…ho fatto diversi Pinocchi e poi altre cose…l’uomo per me rinasce continuamente, quindi la vita è una risurrezione continua…quindi tutta la mia opera si può chiamare una risurrezione”

Nel 1960, superati i postumi della malattia, espone alla Strozzina di Firenze riprendendo a pieno regime l’attività artistica, gli anni successivi trascorreranno tra la realizzazione di importanti opere ed esposizioni in gallerie private e pubbliche.

Da quelle esperienze devastanti ne è uscito un artista consapevole, mai più ricaduto nel tormento della depressione, che ha partecipato con successo a rassegne nazionali e internazionali, istituendo nel 1993, nella casa del suo paese natale, Loro Ciuffenna, il Museo Venturino Venturi, anche Centro di Documentazione per la Scultura Italiana del Novecento.

Qui muore nel gennaio 2002, dopo avere eseguito gli ultimi disegni a penna, fra i quali uno dedicato alla tragedia delle “Twin Towers” di New York.